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Inverni secchi e crepacci

Scopriamo insieme coma la neve influenza la vita di un crepaccio e cosa dobbiamo aspettarci quest'anno lungo i percorsi dei nostri ghiacciai

Scritto il
da Luca Tessore

Dopo un inverno anomalo, causato da un così detto anticiclone di blocco, che ci ha privato di materia prima di qualità, con precipitazioni nevose da Sahara, è arrivato il momento di voltare pagina. La stagione alpinistica è alle porte, ma cosa dobbiamo aspettarci quest’anno lungo la via per i 4000 delle nostre Alpi?

In questo articolo cercheremo di capire come si comportano i crepacci in stagioni così secche, cercando di approfondire vantaggi e svantaggi di questa situazione dal punto di vista della progressione.

Alpinisti mentre aggirano un crepaccio (crediti: Fondazione Montagna sicura)
Cos’è un crepaccio

Sappiamo che un crepaccio non è altro che una fessurazione che si forma in seguito al naturale movimento del ghiacciaio verso valle; quando una porzione di ghiacciaio si muove più velocemente rispetto ad un’altra, ecco che si apre una voragine. Queste aperture possono misurare da pochi centimetri a diversi metri di larghezza.

I crepacci una volta aperti, non se ne stanno lì al loro posto, immutabili nel tempo, sono in continua evoluzione, talvolta si squarciano irrimediabilmente, altre volte si chiudono, scompaiono.

Come la neve interagisce con i crepacci

Gli inverni nevosi contribuiscono proprio a “cicatrizzare” queste lacerazioni del ghiaccio; ovviamente più è stretta la fessura più è efficace l’azione della neve. In molti casi, quando i crepacci sono molto aperti, non basterebbe nemmeno una nevicata da record per riempirli. Così, molte vie sarebbero impercorribili e le vette più alte difficilmente raggiungibili. Ma la natura è una fonte inarrestabile di soluzioni, ed ecco che la neve riesce ancora una volta a stupirci, formando i così detti ponti di neve. Queste strutture collegano le due estremità del crepaccio. Va da sé che, più i ponti sono solidi, più saranno adatti ad essere attraversati dagli alpinisti. La loro solidità è influenzata da diverse variabili: temperatura, umidità, spessore, irraggiamento solare e vento.

Quindi cosa accade quando gli inverni sono così secchi?

Dopo un inverno così secco come quello di quest’ultima stagione, ci ritroviamo con ponti di neve con uno spessore minore rispetto al solito. In alcuni casi la quantità di neve caduta al suolo non è stata sufficiente a formare un ponte, di fatto lasciando aperto il crepaccio.

Photo by Matteo Max Putzolu on Unsplash

Questa situazione ha degli svantaggi, ma anche dei vantaggi.

Sì, perché, se è vero che un inverno secco compromette la formazione di ponti di neve ben strutturati e capaci di attraversare tutta la stagione estiva senza subire i danni delle temperature positive e degli altri agenti atmosferici, è vero anche che, in molti casi, il pericolo si fa più evidente. La copertura nevosa poco spessa e fragile scompare in poco tempo, svelando agli alpinisti le fessurazioni. Insomma, in questo modo l’effetto sorpresa viene meno.

Va da sé che in alcune situazioni trovarsi con un crepaccio molto aperto, specialmente se il tratto è ripido, mette in difficoltà l’attraversamento e costringe a trovare percorsi alternativi che aggirino l’ostacolo. Quindi, la situazione dopo un inverno secco ha vantaggi e svantaggi da tenere in considerazione.

Le nevicate primaverili

Tuttavia in queste ultime settimane una serie di perturbazioni hanno coinvolto le aree alpine, che a quote elevate si sono tradotte in neve fresca. Questo sicuramente è un bene, in quanto dà nutrimento al ghiacciaio, ma nello stesso tempo apre la strada a due considerazioni. La prima, vede queste nevicate “tardive” dopo un lungo periodo secco, come una situazione peggiorativa in quanto, se la neve fresca si limita a nascondere le tracce dei crepacci, senza formare ponti solidi, allora siamo in una situazione non ottimale. La seconda considerazione, prevede una discreta quantità di neve al suolo e possiamo considerarla migliorativa; come ci ricorda Stefano Pivot Guida Alpina e previsore valanghe dell’AINEVA: “I migliori ponti di neve sono quelli che si formano in primavera tra aprile e maggio. Laddove la vecchia neve invernale ha subito diversi processi di metamorfosi che possono aver portato a indebolire la struttura, la neve primaverile avendo una densità maggiore, e subendo continui cicli di fusione e rigelo, favorisce la costruzione di ponti di neve più solidi

Photo by Alessio Soggetti on Unsplash

Così se le nevicate primaverili sono sufficienti ecco che la stagione alpinistica estiva ha delle speranze, nonostante l’inverno sia stato poco generoso in quanto a neve.

Valanghe e crepacci

C’è poi una situazione particolare che unisce neve, valanghe e crepacci. Quando una valanga incontra un crepaccio, questo si ritrova all’improvviso ad ospitare diversi metri cubi di materiale. Inoltre, la neve interessata da una valanga subisce l’effetto dell’energia cinetica, compattandosi al momento dell’arresto diventando come cemento. Questo non può che essere positivo: laddove il crepaccio venga chiuso in questo modo, ci ritroveremmo a muoverci su una neve davvero compatta. Dal momento che i percorsi classici, che poi sono quelli più frequentati, si sviluppano lungo il ghiacciaio cercando di evitare proprio le zone più soggette a valanghe, questa possibilità rimane circoscritta per poche vie e in punti molto localizzati.

Photo by Bartek Luks on Unsplash
Poca neve vuol dire più ghiaccio vivo

Infine, slegandoci per un attimo al discorso crepacci, un inverno con scarsa precipitazione nevosa comprometterebbe soprattutto la percorribilità di alcuni percorsi, quelli più ripidi, dove il ghiaccio vivo renderebbe molto difficoltoso procedere. In aiuto viene ancora una volta la neve primaverile capace di “aggrapparsi” meglio alle superfici ghiacciate, rispetto alle nevi fredde e secche dell’inverno, dandoci le condizioni necessarie per una progressione più facile e sicura.

Quindi, nonostante possano esserci inverni privi di neve, come questo appena passato, non dobbiamo disperare, non tutto è perduto per la stagione alpinistica estiva; una serie di nevicate primaverili possono regalarci le condizioni necessarie per raggiungere i nostri amati 4000.


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