Si potrebbe pensare che affrontare una visita biomeccanica sia solo una questione di “alzare la sella” o “spostare un po’ le tacchette sulle scarpe”. Oppure ancora che sia un misterioso rituale riservato ai professionisti. Eppure, sempre più ciclisti amatoriali decidono di affidarsi a una visita biomeccanica per trovare la posizione giusta in sella e non soffrire più dolori. Ma cosa succede davvero durante una seduta? Quali strumenti vengono usati? E soprattutto: vale davvero la pena, anche se non si corre il Giro d’Italia?

Per scoprirlo, ci siamo fatti raccontare tutto da Paola Paonessa, aka fisiobike: biomeccanica specializzata, laureata in fisioterapia, che ogni giorno lavora con ciclisti di ogni livello. Senza tecnicismi superflui, ma con la competenza di chi conosce a fondo il corpo umano e la corretta posizione in sella, scopriamo cosa succede durante una visita biomeccanica e perché può essere fondamentale per tutti.
Prima il corpo, poi la bici
La visita biomeccanica comincia sempre da un colloquio approfondito. Si indaga lo storico del ciclista, eventuali dolori o fastidi, obiettivi personali, ma anche aspetti come abitudini lavorative o altri sport praticati. Perché tutto influisce. Infatti Paola ci spiega che “tutto inizia con un’intervista personalizzata, durante la quale raccolgo informazioni su eventuali infortuni o interventi pregressi. In studio, eseguo una valutazione posturale completa per conoscere meglio le caratteristiche fisiche di chi pedala. Un’attenzione particolare viene data all’estensibilità muscolare, un elemento chiave per definire con precisione l’altezza ideale della sella, la distanza sella-manubrio e il giusto dislivello”.
Inoltre, dobbiamo tenere presente che è la bici che deve adattarsi a noi e non viceversa: “Ognuno di noi ha caratteristiche uniche e un proprio modo di pedalare. Per questo, la regolazione della bici deve partire dal corpo, tenendo conto della flessibilità, della forza muscolare e degli obiettivi individuali di chi pedala”, precisa Paola.

Saltiamo in sella
Dopo la parte di valutazione preliminare, saltiamo in sella alla nostra bici. Sembra banale dirlo, ma è assolutamente necessario presentarsi alla visita biomeccanica con il proprio destriero di acciaio – o carbonio, alluminio o titanio che sia. Se abbiamo più di una bicicletta, occorre eseguire tutte le misurazioni per ogni mezzo in quanto la geometria e le posizioni variano moltissimo. Una volta posizionata la bici sui rulli, saliamo in sella e iniziamo a pedalare. Paola ci racconta che “l’’unica valutazione eseguita prima di salire in sella è quella posturale. Non controllo nè modifico la posizione delle tacchette sulle scarpe prima della valutazione iniziale in movimento, ma lo faccio dopo aver ottenuto tutti i dati preliminari.”
La biomeccanica osserva la dinamica del movimento e ci chiede le sensazioni
Si analizza la posizione in tempo reale: altezza e arretramento sella, reach e drop del manubrio, angoli articolari, simmetrie del gesto.
“È importante che la valutazione sia oggettiva e ripetibile. Per questo utilizzo un sensore di pressione in sella, che mi aiuta a capire come viene distribuito il peso e se c’è un buon supporto a livello delle ossa ischiatiche e un corretto scarico nella zona genitale. Invece – continua Paola – grazie all’analisi di movimento 3D, posso osservare gli angoli articolari nonchè i movimenti laterali di ginocchia e bacino. Tutte queste informazioni mi permettono di capire dove intervenire per migliorare la posizione in sella, rendendola più comoda, efficace e adatta al proprio corpo.”
Anche la posizione in sella, ci spiega Paola, “viene standardizzata per essere il più possibile oggettiva e ripetibile. Per questo, tutte le valutazioni vengono effettuate con le mani appoggiate sulle leve freno nel caso di bici da corsa o gravel, oppure sulle manopole nel caso della MTB o manubrio flat.”.

Trovare la posizione ideale
È proprio in questa fase che la scienza incontra la sensibilità personale, ed è qui che l’esperienza di chi ci visita fa la differenza. Perché non esistono risposte universali: ogni corpo ha la sua storia, ogni ciclista le sue sensazioni. E una buona visita biomeccanica non si limita a misurare, ma ascolta e interpreta. Paola ci racconta che il suo approccio si divide in due fasi: la prima più scientifica, la seconda basata sulle sensazioni di chi pedala. “Mi baso principalmente sui dati rilevati dall’analisi del movimento per arrivare alla posizione più adatta. Quando siamo vicini all’assetto ideale, inizio a dare molta importanza ai feedback di chi pedala: la persona in sella sente se una modifica funziona oppure no. Anche se teoricamente tutto sembra corretto, se c’è una sensazione negativa preferisco rivedere l’assetto e provare a migliorarlo ulteriormente. L’obiettivo è far sentire il ciclista davvero bene sulla bici.”
Feedback e consigli post-visita
Terminate le regolazioni, arriva un momento altrettanto importante: il confronto finale. La specialista ci fornisce un resoconto chiaro di quanto emerso, spiegando le modifiche apportate e i motivi che le hanno rese necessarie. Ci invia anche una scheda riepilogativa, un report digitale, con tutte le misure aggiornate.
Personalmente, essendo reduce da un lungo periodo di inattività dovuto a un’ernia discale, mi ha consigliato anche alcuni esercizi per migliorare postura, mobilità o attivazione muscolare. Mi sono chiesta se io fossi un caso isolato e Paola ha risposto che “il mio non è affatto un caso raro, anzi: direi che sei assolutamente nella norma. La maggior parte delle persone che si rivolge a me lo fa proprio perché ha a che fare con tendinopatie, fastidi cervicali, dolori lombari e simili. È quindi molto comune che, oltre alla regolazione della bici, suggerisca anche esercizi di rinforzo o di stretching, a seconda delle necessità”.
Ora non ci resta che provare a pedalare e prestare attenzione alle nostre sensazioni. La visita non finisce uscendo dallo studio. Dopo le prime uscite, possiamo (anzi, sarebbe consigliabile) relazionare a chi ci ha visitati come ci sentiamo per condividere informazioni e feeling con quella che spesso ci sembra essere una nuova bici – e invece è sempre la stessa ma regolata bene. Infatti, Paola precisa che “la prova in studio è una simulazione e, per quanto accurata, non può replicare esattamente le condizioni reali. È per questo che i feedback sono fondamentali: possiamo aver trovato una posizione ideale durante la visita, ma poi, una volta su strada – magari su terreni gravel, con dislivelli o lunghe uscite – possono emergere fastidi. Inoltre, il corpo ha bisogno di tempo per adattarsi ai cambiamenti: nei primi giorni è normale avvertire qualche fastidio muscolare. Se non viene spiegato, questo può preoccupare chi pedala, ma spesso è solo parte del processo di adattamento.”
Possiamo trovare Paola su instragram come fisiobike.bo e sul suo sito www.bikefittingpaonessa.it