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Valanghe: i segnali di pericolo

Quali sono e come riconoscere i segnali di pericolo in montagna a cui prestare attenzione

Scritto il
da Luca Tessore

Il Flex(ible) system di ARVA®

WHOM” un suono sordo rompe il silenzio che soltanto la montagna innevata sa generare. È un campanello d’allarme che indica un assestamento all’interno del manto nevoso, talvolta è il preludio di un distacco. La montagna lascia lungo le sue pieghe molti segnali di pericolo, alcuni sono sepolti e non visibili, altri evidenti, quasi a volerci mettere in guardia.

Premessa

Durante una gita ci si può imbattere in evidenti “cartelli” a cui prestare attenzione; quando li si impara salteranno all’occhio come quelli stradali e potranno essere molto utili per evitare di attraversare con il rosso! Prima però è bene precisare il principio generale che genera una valanga:

Quando su un determinato pendio la forza resistente, ovvero l’insieme delle forze di attrito e coesione del manto nevoso, risultano minori della forza risultante tra la forza peso del manto stesso ed eventuali sovraccarichi, allora avviene un distacco. Ogni cambiamento determina una variazione nell’equilibrio tra le forze in gioco, partendo da un pendio stabile possiamo andare nella direzione dell’instabilità se:

  • Diminuisce la coesione fra i grani/cristalli di uno strato

  • Diminuisce l’attrito fra strati diversi e/o all’interno dello stesso strato

  • Aumenta il carico sul manto nevoso (sovraccarico)

  • Aumenta l’inclinazione del pendio.

Le forze.

Tutti i segnali di pericolo hanno alla base almeno una di queste variazioni. Alcuni segnali sono più vistosi di altri, si fanno vedere o sentire prima, altri li si deve cercare, altri ancora li ignoriamo seppur scivolandogli sopra.

I campanelli d’allarme

In questo articolo ci soffermeremo su quei campanelli d’allarme che possiamo incontrare durante il percorso e per vari motivi non erano stati valutati da casa; nella fascia di media o alta montagna le condizioni meteo possono cambiare improvvisamente e localmente modificando radicalmente il manto nevoso. Le reali condizioni di stabilità possono anche peggiorare di molto da quanto indicato sul bollettino nivometereologico.

Il Vento
Cresta. Foto: Luca Tessore

Il principale regista dei segnali visibili è il vento, questo elemento agisce sul manto nevoso causando talvolta notevoli problemi che si rendono visibili sotto forma di:

Cornici: si formano per effetto del vento su creste e crinali, la neve viene trasportata dal versante sopravento e accumulata nel versante sottovento. L’accumulo è formato da neve a debole coesione talvolta profonda. La cornice può facilmente cedere sotto il nostro peso, così come il manto del versante sottovento dove si è accumulata la neve.

Pennacchi di neve: formati da un’intensa attività eolica che forma anche in questo caso accumuli sottovento. Questo tipo di trasporto è chiaramente riconoscibile già da valle dove magari il vento non sta ancora agendo, ma che in quota sta compiendo la sua attività di erosione e deposito.

Pennacchi. Crediti: Glossario EAWS

Neve ventata: ci sono diverse configurazioni della neve ventata determinate dalla velocità del vento con la conseguenza di accumuli diversi. Il vento lascia quindi sul versante sopravento un’impronta che ci permette di capire la direzione verso cui ha soffiato e di conseguenza individuare gli accumuli.

  • Increspature: velocità < 20 km/h, trasporto di neve scarso e di conseguenza non si formano accumuli o lastroni. Lo spigolo del gradino guarda in direzione del vento.

  • Dune: velocità > 20 km/h, formazione di accumuli importanti nel versante sottovento e lastroni duri nel versante colpito dal vento (sopravento). Lo spigolo guarda in direzione del vento.

Dune. Crediti: Glossario EAWS
  • Scolpiture: velocità prossima ai 50 km/h, si formano delle corrugazioni dove il gradino questa volta guarda controvento. Quando il vento supera i 50 km/h l’erosione è irregolare e forma corrugazioni che ricordano il mare mosso, capirne la direzione è difficile quindi prestare attenzione alle zone in cui il vento può aver rallentato e quindi accumulato la neve (cambi di pendenza, ostacoli come gruppi di alberi, avvallamenti).

  • Sastrugi: in questo caso lo “scalino” è rivolto in direzione del vento, il flusso d’aria percorre le scanalature parallelamente. Da questa forma di erosione difficilmente si riesce a leggere la provenienza del vento.

Sastrugi. Crediti: Glossario EAWS

In tutti i casi la neve si accumula quando la velocità del vento scende sotto la soglia di trasporto (20 km/h) questo avviene principalmente quando sono presenti:

  • Cambi di pendenza.

  • Ostacoli: gruppi di alberi o massi di notevoli dimensioni.

  • Avvallamenti.

Pioggia su neve

Un altro segnale di pericolo sempre più frequente negli ultimi anni, anche in pieno inverno, sono le ondulazioni e/o cavità della superficie del manto nevoso dovute alla pioggia su neve o rialzi termici e relativa fusione della neve. Talvolta la presenza di acqua liquida può contribuire alla stabilità fornendo ai grani/cristalli una coesione per capillarità, questo avviene quando si hanno nevi umide (acqua liquida < 2%), basta poco per determinare un effetto opposto. Quando la neve è bagnata (acqua libera 3% – 8%) o fradicia (acqua libera > 8%) si ha una doppia azione antagonista nei confronti della stabilità del manto nevoso: aumenta il carico e si riduce la coesione fra i grani/cristalli. Piogge intense o persistenti portano ad avere nevi bagnate o fradice i cui effetti possono manifestarsi anche dopo molte ore terminato il fenomeno. Un metodo spiccio per farsi un’idea della lubrificazione del manto è quello di tastare la neve strizzandola con le mani (tenendo i guanti): se si forma una palla di neve e ti ritrovi con i guanti bagnati banalmente si dice che la neve è bagnata (acqua liquida 3% – 8%), se facendo la palla di neve inizia a colare subito acqua si dice che è fradicia o più comunemente marcia (acqua liquida > 8%). In entrambi i casi ci troviamo in una situazione potenzialmente critica, quindi è bene considerare le pendenze che andremo ad affrontare per evitare di far collassare la struttura, tenendo presente che già su pendii poco ripidi (20° – 25°) si possono verificare dei distacchi. Nelle condizioni appena descritte talvolta ci si potrà imbattere in riccioli o palle di neve. Altro non sono che porzioni del manto nevoso i cui ancoraggi sono venuti meno a causa dell’eccessiva lubrificazione e lungo la loro corsa hanno accumulato altra neve. La loro presenza indica quindi instabilità e possibili valanghe bagnate.

Neve molto bagnata. Crediti: Glossario EAWS
Le “bocche di balena”

Se non vogliamo fare la fine di Pinocchio dovremmo stare attenti anche noi alle “bocche di balena, così vengono chiamate le crepe da scivolamento del manto nevoso, queste possono dare origine ad un’improvvisa valanga in qualsiasi momento, è quindi consigliato di attraversare la zona senza perdere tempo.

Bocche di balena. Crediti: Glossario EAWS
Le valanghe recenti

Sebbene sia lapalissiano, il segnale di pericolo per eccellenza sono le valanghe stesse, non solo quelle a cui assistiamo ma anche quelle recenti. Indicano infatti un’evidente instabilità, valutare le condizioni locali ed eventualmente rientrare; abituarsi a non raggiungere la meta prefissata quando le condizioni non lo permettono è un esercizio utile per chi frequenta la montagna.

Distacco recente (valanga di superficie). Foto: Luca Tessore

Abbiamo quindi smascherato i trabocchetti più evidenti che il vento, l’acqua e il calore nascondono nella neve. Abbiamo imparato come andare oltre il lato artistico delle sculture di neve che la montagna ci regala, acquisendo consapevolezza di quanto talvolta possano essere brutalmente insidiose.

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