Un ragazzo pacato, con un sorriso tanto scanzonato da sembrare ingenuo. Lorenzo Barone è tutt’altro che un ingenuo. Il 27enne umbro è un avventuriero estremo ed esploratore curioso di assaporare nuove esperienze, quasi al limite dell’immaginabile.
È partito per il primo viaggio in bici nel settembre 2015. Aveva 18 anni, l’età dell’adesso faccio quello che voglio. L’ha presa alla lettera: ha caricato la vecchia bici della mamma con un assetto del tutto improvvisato e via. Senza farsi troppe domande, è partito verso Francia e Spagna per inseguire la sua passione. Da lì non si è più fermato.
Tra il 2016 e il 2017, Lorenzo Barone ha diretto le sue pedalate verso il punto più a nord dell’Europa, Caponord, da raggiungere in inverno. Sempre nella stagione fredda, l’anno successivo ha pedalato lungo la Pamir Highway, la seconda strada internazionale più alta del mondo dopo quella del Karakorum. Nel 2019 ha esplorato il Marocco, attraversando il deserto del Sahara in piena estate, e l’India.
Nel 2020 è partito verso il Polo del Freddo, in Siberia, per cercare di attraversarlo rigorosamente in inverno. È inciampato nella pandemia ed è tornato a casa sposato con Aygul, ragazza russa proprio di quelle zone tanto fredde quanto romantiche.
Nel 2022 è ripartito per attraversare l’Africa e l’Asia per pedalare la via più lunga del pianeta. Nel 2023 ha attraversato l’Islanda con sci e slitta, ha pedalato in Borneo per poi tornare a casa, sempre in sella alla sua fidata bicicletta e nel 2024 ha raggiunto Capo Nord con bici, sci e kayak.
Abbiamo rivolto qualche domanda a Lorenzo Barone per capire meglio il suo stile di vita, il suo approccio alle avventure e il suo modo di pensare.
Sarebbe il caso di dire “non provatelo a casa”, oppure sì, provatelo! Viaggiate! Ma fatelo con coscienza. Buona lettura!
Come progetti le tue esplorazioni?
“Tutto nasce dalla curiosità: ci deve essere qualcosa che mi incuriosisce. Questo può riguardare la cultura di un certo luogo, la condizione climatica di una certa zona, il fatto che sia un ambiente remoto.
Poi, aggiungo una sfida personale che può essere in bici, a piedi, in kayak o con altri metodi di spostamento. L’obiettivo cambia da viaggio a viaggio, cerco sempre di avere punto di partenza e di fine ben chiari.
Nei primi viaggi che ho fatto tra il 2015 e 2017 non avevo meta precisa se non l’obiettivo di tornare a casa. Non sapevo se sarei stato via uno, due o dieci mesi e ho capito che il rischio di perdersi e perdere gli stimoli è alto.
Se ho una meta, mi sento determinato nel raggiungerla, ma non solo: ho tanti obiettivi nel percorso oltre a quello finale non solo quello finale, una sorta di “checkpoint” che decido in autonomia.”
Come pianifichi le tue giornate in viaggio, se lo fai?
“La pianificazione delle giornate viene da sé e per ogni avventura è diversa.
Più che la distanza, in alcune esperienze mi ponevo il tempo di pedalata. Per esempio non fare meno di sette ore con le ruote in movimento, anche se a volte ne raggiungevo dieci-dodici ore.
Ho cominciato ad adottare questo metodo dopo essermi sposato, così ho una base da cui partire e riesco a farmi un’idea di quando sarei arrivato. Voglio vivere un’avventura “precisa”.
Per i viaggi che ho affrontato nei primi 4-5 anni di esperienza, non avevo una tabella di marcia: partivo e seguivo il flusso. Adesso ho cambiato il mio modo di viaggiare.”
Come reperisci le informazioni utili per le tue avventure?
“Adesso con internet è facile, inoltre grazie ai social i numeri crescono e di conseguenza anche le persone a cui chiedere. Mi risulta più facile entrare in contatto con coloro che possono avere più informazioni di me su ciò che vado a fare.
Magari non hanno fatto le mie stesse avventure, però possono aver vissuto esperienze simili, avere una conoscenza approfondita sui luoghi, sull’equipaggiamento o altro che può essere davvero utile.
Per le parti in kayak e quelle con sci e slitta ho parlato con persone che facevano spedizioni. Per esempio, uso sci corti e lunghi (due metri circa), da fondo, perché molti esploratori usano questa tipologia per le loro avventure in zone artiche e antartiche.
Il processo di acquisizione delle informazioni è abbastanza rapido perché non siamo tanti a fare questo tipo di attività in questo modo.
A parte qualche caso isolato di persone chiuse, tramite internet e comuni spesso riesco a trovare tutte le informazioni che mi servono.
Questo non accade proprio sempre: per l’avventura in Borneo non sono riuscito a trovare nulla direttamente, però ho guardato tramite satellite le piste che ci potevano essere e ho ricreato la traccia seguendole.”
Programmi le tue avventure sempre con larghissimo anticipo, come mai?
“Cerco di avere un obiettivo a lungo termine che mi faccia tenere stimolata la motivazione e alto il livello di allenamento. Inoltre mi serve per capire e pianificare gli investimenti sull’equipaggiamento.
Programmando con così largo anticipo, può succedere che cambino situazioni (geopolitiche, climatiche, …) ma è il viaggio stesso a insegnarti che devi trovare soluzioni sul momento. E anche fronteggiare questi cambiamenti fa parte dell’adattamento richiesto da questo tipo di avventure.
Per esempio, in Africa cambia tutto super velocemente e non ha senso aspettare il momento giusto per partire. Sono partito senza sapere se avrei potuto attraversarla tutta: sapevo che c’erano frontiere chiuse e situazioni di guerriglia o scontri seri. Sono partito e mi sono adattato strada facendo.
Penso sempre: “mal che vada non ci riesco, ma almeno ci ho provato”.”
Come gestisci la fame?
“In viaggio ho capito quanto importanti siano i beni primari (acqua e cibo).
A volte mi sono trovato in zone remote con le riserve finite e mi sono reso conto che con la carta di credito non avrei comunque risolto la situazione. In quelle occasioni, aveva più valore una bottiglia d’acqua o un pacco di riso rispetto a una carta di credito imbottita di denaro.
Quando torno e vedo quanti sprechi e avanzi quotidianamente ci sono nella nostra società, mi rendo conto che davvero non ha senso. Viaggiando ho imparato a ridare valore a tutto.”
Ci sono state delle situazioni in cui ti sei trovato in difficoltà per il cibo?
“Mi sono trovato in difficoltà per il cibo solo in Islanda e Svezia, nelle esperienze con sci e slitta.
In Svezia ho incontrato una discesa ripidissima da cui ho fatto veramente fatica a scendere: a piedi era gestibile, ma con la slitta era molto difficile. Sono arrivato con pochissime scorte rimaste, però avevo ancora un margine di un giorno, un giorno e mezzo.
In Islanda, invece, mi sono trovato in una situazione in cui l’unica soluzione era razionare il cibo.
La tempesta era incessante e le barriere di ghiaccio e neve che avevo costruito intorno alla tenda venivano continuamente erose. Potevo solo aspettare che si calmasse e facevo piccoli pasti: burro con cioccolato oppure porzioni di un terzo rispetto ai giorni in cui facevo attività fisica. Cercavo di stare fermo nel sacco a pelo e non consumare energie. In meno di un’ora sono riuscito a rinforzare le protezioni per la tenda e per le successive 67 ore sono stato fermo. Uscivo solo per spalare la neve dalla tenda, prima ogni tre ore poi ogni sei, ci mettevo 20 minuti: anche se intensi erano momenti brevi e non consumavo di certo le energie di un giorno interamente in movimento, quindi mi bastava mangiare meno.”
E la sete?
“Per la gestione della sete, porto sempre più acqua del necessario.
In Marocco, per esempio, mi ero fissato dei punti sulla mappa dove potevo avere acqua. Erano dei pozzi, ma non sapevo se l’acqua ci sarebbe stata e se avrei avuto a disposizione la carrucola con il secchio per raccoglierla o se fosse utilizzabile (non avrei potuto sapere in anticipo di un animale morto al suo interno). Allora portavo riserve in abbondanza, e quando arrivavo al pozzo avevo 15 litri, in modo da lasciarmi la possibilità di tornare indietro.
Nonostante sia andato tutto sempre bene, avrei anche potuto scegliere di andare al pozzo successivo senza fare rifornimento, ma è una scommessa. Pedalavo con quasi 50 gradi e bevevo 12 litri di acqua al giorno. Non c’è quasi nessuno che possa aiutarti se non qualche posto di blocco.
La disidratazione è molto veloce e puoi gestirla solo stringendo i denti, pedalando tutta la notte perché consumi meno acqua e arrivando il giorno successivo a un punto dove c’è rifornimento.”
Che rapporto hai con la paura?
“L’ho provata raramente. All’inizio mi spaventavo più facilmente, vedevo i problemi come qualcosa di insormontabile e crollavo emotivamente.
Adesso, dopo vari viaggi e con un po’ di esperienza, vivo raramente problemi reali e momenti di paura. Un problema è tale se c’è un pericolo effettivo e non ho un piano B. In base al tipo di problema posso averne paura, altrimenti le altre piccole disavventure e le situazioni relativamente pericolose non le reputo pericolose. Penso di essere in pericolo solo quando c’è il rischio reale di perdere la vita nel breve termine.
Se ho un lasso di tempo per reagire (anche mezz’ora) piuttosto che impaurirmi mi concentro per trovare una soluzione. Cerco sempre di avere piano B e se possibile anche un piano C.
Per esempio mentre ero in kayak in Norvegia ho fronteggiato onde e freddo, c’era vento forte, la temperatura era intorno ai 15 gradi sotto zero e le onde arrivavano di continuo e superavano il metro di altezza. Il rischio di ipotermia in caso di ribaltamento e di perdita di controllo della situazione era molto alto, ma avevo un po’ di margine di tempo per calcolare cosa fare e cercare una soluzione tra tornare indietro, aumentare il ritmo o surfare le onde.
Anche la tempesta che mi ha sorpreso in Islanda all’inizio non è stata una situazione facile da gestire. Il vento con raffiche di oltre 120km/h avrebbe potuto distruggere la tenda e portarmi via tutto, ma sono riuscito a costruirmi una barriera con dei blocchi di ghiaccioche mi ha protetto per tre giorni.
Situazioni del genere sono casi rari, ma in cui hai comunque la possibilità di gestire le cose, non è solo questione di fortuna.
Invece, quando mi hanno fermato i militari in Etiopia era tutta un’altra situazione: non sapevo dove mi stessero portando, non potevo fare nulla. Non avevo nessuna soluzione disponibile e non avevo potere decisionale. Potevo solo sperare che andasse tutto bene e non sparassero.”
Quanto ti ha cambiato questa vita?
“Mi ha cambiato anche nella quotidianità, sicuramente. Prima di partire avevo un’altra visione di tutto, molte più preoccupazioni, più pensieri, prendevo sempre in considerazione al 100% o quasi le opinioni degli altri, sia in positivo che in negativo.
Ora vedo tutto in modo molto più oggettivo e non mi influenza più una situazione o un’opinione esterna.
Vedo le cose per quello che sono: come i problemi e le paure anche le soluzioni, le possibilità di fare determinate cose. Non mi faccio più mille pensieri, ma guardo alla realtà per quello che è.
Sono cambiato parecchio. Certo sarei cambiato lo stesso sicuramente, ma questi viaggi hanno fatto la loro parte e hanno indirizzato il cambiamento.”
Se l’hai realizzato, quando hai capito che potevi “fare l’esploratore” e vivere in questo modo?
“Ho capito di poter vivere di queste avventure quando mi hanno dato i primi due euro facendo il giocoliere per strada nel 2016. Avevo capito di potermi finanziare e andare avanti, perseguendo questa passione in tutti i suoi aspetti, e quello finanziario non è trascurabile.
Puoi viaggiare senza soldi, ma non è piacevole: devi chiedere cibo scaduto ai supermercati, diventa vagabondaggio, non è quello a cui aspiravo.
Prima di partire, stavo cercando un lavoro normale in panetteria, ma non mi hanno preso. Sono partito con i pochi risparmi che avevo e ho cominciato ad arrangiarmi. Prima ho fatto il giocoliere per strada, poi vendevo le foto, poi ho cominciato a gestire il mio canale YouTube, infine sono arrivate le serate e le sponsorizzazioni.”
Qual è, quindi, l’equilibrio tra avventura e altre attività?
“L’avventura in sé (intesa come attività fisica attraversando i Paesi) è un 20% della torta: la fetta è relativamente piccola. Poi c’è tutto il resto: pianificazione, sponsorizzazione, materiali e loro modifiche, studio delle aree dove andrò, contattare persone, marketing, eventi, montaggio video… Anche in viaggio nascono nascono opportunità o occasioni: in Norvegia, per esempio, è venuto a trovarmi The Pillow, poi ci sono i filmati dei telegiornali e altro: si creano un sacco di cose attorno che fanno diventare l’avventura una briciola.
Prima del 2020 facevo solo avventura: quel 20% di ora, prima era il 90%. Non mi capacitavo di come altri riuscissero a vivere delle proprie esperienze pur facendo avventure meno difficili o meno rischiose (come per esempio il Cammino di Santiago). Poi ho capito che loro dedicavano tempo anche a tutto il resto e io non lo consideravo perché spesso non si vede il “dietro le quinte”.
Sui social, alcuni scrivono “bello viaggiare con i soldi dei genitori” perché non percepiscono il contorno: oltre a girare il video bello con il panorama suggestivo, c’è tutto il resto su cui bisogna lavorare.”
Tua moglie Aygul ti aiuta? Gestisci tutto da solo?
“Aygul si occupa delle sue attività e qualche volta mi dà una mano. Lei è brava nella creazione delle presentazioni per le serate e mi aiuta su quello. Quando sono tornato da Africa e Asia, ha fatto una lista di indirizzi e nomi delle persone che mi hanno supportato e a cui abbiamo spedito le foto.
Su alcune cose mi aiuta, sì, ma al 95% faccio da solo.
Poi mi stavo per affidare a un’agenzia, ma in questo modo diventa tutto più complicato. Adesso gestisco tutto come preferisco e non dipendo da nessuno. Se si mette di mezzo un manager o un’agenzia, tra contratti e obblighi, ciò che faccio diventa poco piacevole e perdo la passione. Preferisco rimanere indipendente e decidere io quando e come prendere impegni o svolgere attività, così continua a esserci passione.
Un’altra alternativa sarebbe lavorare in modo più “standard” o “stagionale”, ma questo toglierebbe tempo ai progetti e mi creerebbe problemi a realizzarli, soprattutto quelli di lunga durata.
Finché ho voglia e questo assetto funziona continuo così. Se va male, andrò magari in Australia o Nuova Zelanda con un visto working holiday.
Il mondo è pieno di opportunità, basta saperle cogliere.”
Fai programmi sia di viaggi, sia di vita per il futuro? Quali sono?
“Quando sono in viaggio vivo sul momento, senza sapere dove dormirò la sera: finché non trovo uno spiazzo non so dove metterò la tenda.
In generale, però, avere le idee chiare mi serve per andare avanti ogni giorno. L’avevo capito già nel 2017 quando ho girato per l’Europa, ma poi sono tornato perché non avevo motivo per andare avanti.
Per il futuro a lungo termine, ho ancora qualche progetto grosso su cui sto lavorando poi non so tra dieci anni cosa farò. Penso che farò anche altro e magari viaggiare rimarrà una passione, può essere che ne nasceranno altre, magari bowling, dipingere, suonare, ballare… nascerà altro!
Non voglio fare 50 anni di avventure perché c’è il rischio che diventi ripetitivo. Continuerò, ma con esperienze brevi come magari un mese nella giungla, attività di parapendio, triathlon, trail running, eventi in bici.
In ogni caso, cerco di ascoltarmi e vivere le sensazioni che ho nel presente.”
Vuoi darci qualche anticipazione sul prossimo progetto?
“L’avventura coinvolgerà quattro attività differenti e tre di queste sono nuove per me.
Devo ancora riuscire a trovare il budget definitivo per partire, sto aspettando alcune conferme. Capire il costo totale è fondamentale. Devo riuscire a trovare fondi tramite le sponsorizzazioni oppure decidere di investire tutto ciò che ho.
Quando sarà sicuro e definito partirò. Sto facendo di tutto per partire a gennaio, altrimenti sarà tra un anno. Non è un viaggio al freddo, ma devo partire tra novembre e aprile.”
Ne hai parlato con qualcuno?
“L’ho detto ad alcune persone, ma mi dicono che è follia. Loro sono amici che possono capirmi e capire di cosa si parla: c’è chi ha viaggiato in bici da Ulan Bataar (Mongolia) a casa, chi è tornato dal Giappone in Italia pedalando, chi ha rischiato grosso con me sul Tevere a bordo di una zattera. Hanno un approccio diverso, non sono come i miei compagni di scuola che già ai tempi della prima avventura mi dicevano: “Non arriverai nemmeno a Milano!”.
Ecco, questo è un altro aspetto. Facendo questa vita avverto tanto il distacco con le persone con cui posso essere cresciuto. Loro hanno seguito strade diverse, non riusciamo più a capirci. Ora cerco di avere conversazioni con persone che hanno vissuto esperienze simili, sulla stessa lunghezza d’onda.”
Documentare le tue avventure è quindi un passaggio importante?
“Soprattutto durante il viaggio tra Africa e Asia, mi sono reso conto che pur avendo tanto materiale, questo aspetto non mi soddisfaceva. Per esempio, non ho mai appoggiato la telecamera passandoci davanti, l’ho solo tenuta a mano. Credo che creare un contenuto di qualità possa ispirare persone a raggiungere obiettivi in modo più chiaro. Se proietti filmati che non lasciano sensazioni o non ti danno un punto di vista forte, questo lascia meno emozioni.
Vorrei lavorare su questi aspetti anche sul prossimo viaggio. Qui, infatti, l’idea è fare anche un documentario su questa prossima avventura. Per avere un risultato ottimale ho preso il drone, i registratori audio e la telecamera.
Molti scambiano avventura e vacanza perché una foto può sembrare uguale, ma tutto il contorno è tanto diverso. La vacanza in Lapponia è diversa da un’avventura nelle stesse terre. Se non vedi tutto quello che uno sta facendo o non hai vissuto esperienze del genere, non ti immagini quello che può essere un’avventura. Non lo dico con malizia, ma noto che c’è davvero poca attenzione. I social sono un modo veloce di comunicare e magari c’è chi può pensare che sono in hotel, mangio e faccio un’uscita di due ore. Invece non è così: sono fuori 24 ore su 24 per diversi mesi con il fornellino e tutto l’occorrente per essere autonomo.”
Quando non sei in giro per il mondo per qualche avventura, sei comunque in viaggio per raccontare le tue esperienze. Cosa provi nel condividere immagini, emozioni e aneddoti?
“Ho iniziato a condividere queste esperienze proiettando foto e video a eventi in persona dal 2022, mentre prima non l’avevo mai fatto seriamente.
All’inizio pensavo che non ci sarebbe stato alcun interesse e anche quando mi si chiedeva la capienza delle sale non avevo idea di cosa aspettarmi. Ho fatto un tour in nord Italia di 27 giorni con una serata ogni giorno e mi sono reso conto che c’era molto più interesse di quanto pensassi. È stata una grande soddisfazione condividere viaggi ed esperienze con migliaia di persone totali. All’inizio ero entusiasta, dopo la ventesima serata ho cominciato a crollare perché una serata ogni giorno era troppo.
Per le esperienze successive ho deciso di avere del tempo tra una e l’altra. Prima avevo esagerato, ma era la prima volta, che mi ha dato la possibilità di imparare tanto. All’inizio mi batteva il cuore, diventavo rosso ed ero timido. Ora non mi reputo più una persona timida, ma il mio istinto è quello di stare da solo in mezzo a una montagna piuttosto che davanti a una platea.
Voglio continuare a fare le serate, ma in modo tranquillo e con calma.”
Lorenzo Barone ha recentemente pubblicato un libro con Sperling & Kupfer dal titolo “Dove finisce l’orizzonte. Avventurarsi nel mondo e dentro se stessi”. Possiamo seguire le sue avventure e rimanere aggiornati sui prossimi appuntamenti dal suo profilo Instagram, la sua pagina Facebook e il suo canale YouTube.